Alessandro Pizzo

L’intervista ad un artista ancora tutto da scoprire

Alessandro Pizzo è  uno dei cinque fotografi selezionati da Paola Valori, che fino al 21 marzo sarà visitabile nell’ambito del mese della fotografia con la mostra “Dissonanze” presso la galleria romana MICRO. 

L’esposizione ripercorre il lavoro di cinque fotografi che affrontano temi individuali e con linguaggi differenti in un unico percorso espositivo (Gianni Boattini, Carlo Maria Crespi Perellino, Claudio De Micheli, Alessandro Pizzo, Sergio Silvestrini), ma è sugli scatti di Alessandro Pizzo che vorrei soffermarmi.

Visitare la sua mostra è stato come tuffarsi nelle strade di Roma. Un progetto fotografico il suo, nato in macchina di notte per scattare nel silenzio e nella quiete della città.

Nato a Padova l’11 Dicembre del 1972, Alessandro Pizzo fin da piccolo si avvicina all’arte visitando spesso Mostre e Musei in Italia e nel Mondo. Frequenta il liceo classico e in seguito all’esperienza universitaria entra nell’azienda di famiglia dove vi lavora fino all’età di 35 anni. Nel 2008, a seguito della cessione dell’attività, decide di dedicarsi a quello che gli stesso definisce “un viaggio nella mia nuova vita: l’Arte” per iniziare finalmente a esprimere sogni e sentimenti.

Di seguito vi propongo una breve e intensa conversazione con l’artista, un’occasione per conoscere le sue riflessioni sul lavoro di fotografo e le sue ispirazioni.

Il tuo non è un allestimento qualsiasi. Questo percorso inizia con una foto in particolare?

<<Inizia con la foto di un semaforo. Non è un caso che quella foto sia stata scelta. È un semaforo. Un semaforo verde, mentre il rosso è l’uomo per cui il pedonale è bloccato, il verde è per l’auto. Ho realizzato tutte queste fotografie in auto, perciò l’inizio della mostra e il tour in macchina nasce dal “via” che io do con questa fotografia.>>

Come nascono queste fotografie?

<<Queste foto hanno tutte lo stesso titolo: “tre del mattino di lunedì con la pioggia” perché in una sera piovosa di gennaio, non avendo sonno, ho deciso di uscire in macchina con l’intenzione di vedere Roma, e così ho iniziato a fotografare. Tutto questo è successo in una notte. Ciò che ho proposto in questa mostra è un viaggio con la macchina e ogni foto è sempre legata in sequenza a quella precedente, perché il mio è un movimento, uno spostamento.

Ho avuto un padre collezionista di auto storiche e corridore che ha corso nei rally e che ha partecipato a tante gare nella sua vita. Io stesso sono un ex corridore. Facevo le gare con le macchine storiche. Mi è sempre piaciuto andare in giro con la macchina, ogni volta che ho un pensiero o la testa che non ragiona, salgo in qualsiasi autovettura. Sono molto legato al movimento. E ciò nasce, in parte, dalla mia passione per il Futurismo nell’arte.>>

In queste foto però il movimento non c’è. Perché?

<<È molto semplice: è bello correre quando ti concentri sulla strada, o meglio, sulla pista. Ma quando vai in giro devi guardare dappertutto. Qui non c’è nessun riferimento al mezzo perché il viaggio è talmente incredibile che la bellezza che ogni spiraglio lascia è interiore.

Qui c’è il gusto del bello. Roma ha insita il gusto del bello perché ogni cosa all’interno di essa è speciale.>>

Le foto sono tutte state scattate dalla macchina?

<<Esattamente. Seguendo un percorso ho visto queste immagini e mi sono detto: “Qui c’è qualcosa di stupendo”.

Queste fotografie le ho sentite. Mi sono fermato e ho immaginato se potevano colpirmi e solo in seguito ho scattato la fotografia. Al giorno d’oggi si tende a fare tante foto per poi selezionarle alla fine, non ci si assume il rischio di perdere un momento. Io ho cercato di fare la selezione ancora prima di scattare. Ogni foto l’ho sentita. Perché io ho la necessità di capire se quello che sto vedendo mi emoziona. Se è cosi allora lo voglio impressionare sulla macchina fotografica.>>

…(Poi riferendosi alla foto con il cartello luminoso “Varco non attivo” aggiunge):

<<Di giorno c’è scritto “Varco attivo” di notte “Varco non attivo”. E’ emblematica questa foto. E’ una delle quali sono più affezionato. Perché? Perché racconta tanto.>>

Alessandro prosegue il suo percorso nelle fotografie passando per Teatro Marcello, il Lungotevere che a lui “piace tanto vedere di notte” fino ad arrivare alla foto di Castel Sant’Angelo in bianco e nero.

Perché la scelta del bianco e nero in questa foto?

<<Perché questo è un posto trucido. Castel Sant’Angelo, considerando la storia dei Papi e della religione cattolica, è un luogo di tragedia: era una prigione. Quell’angelo è un angelo della vita o della morte?

Stando basso in macchina ho avuto la sensazione dell’arrivo. Ho visto un Castel Sant’Angelo completamente diverso rispetto a quando si è in piedi sul ponte ad osservarlo. >>

E qui si arriva alle ultime due foto della Roma notturna.

<<Queste due fotografie possono sembrare la stessa: una a colori e una in bianco e nero. Se si fa attenzione però ci si rende conto che una racconta di più rispetto all’altra. Una veduta è più ampia rispetto all’altra e di conseguenza racconta di più. Sono due foto assolutamente differenti.>>

Come finisce questo percorso?

<<Alla fine del mio percorso sono tornato a casa, sono andato in camera, ho aperto la finestra e ho visto questa immagine e l’ho presa.>>

Ciò che mi colpisce in questa mostra è la mancanza della presenza umana, accennata solo dalle macchine che rimandano all’estremo correre della vita odierna. Perché hai voluto questo dettaglio?

<<Non ci sono le persone perché io voglio fotografare Roma. Roma è così e non la posso mettere in posa perché non posso, e di conseguenza la vivo per com’è.

Questo concetto è legato anche alle fotografie delle donne. Io non metto in posa chi vuole raccontare una storia. Le ragazze fotografate sono persone che conosco. Ho amicizia o comunque sempre dei rapporti con le persone fotografate.>>

Non sono modelle?

<<No, qui c’è una questione di un dialogo, di una conoscenza e una questione di libertà. Ti parlo di libertà perché ad ogni fotografia che tu vedi, io non ho dato nessun riferimento. Ogni fotografia che tu vedi è esclusivamente voluta da lei.>>

Sono state loro a chiederti di essere fotografate?

<<Assolutamente. Se faccio una fotografia e ti dico come vorrei che venisse, tu non mi servi. Sarebbe una semplice foto, le mie invece sono narrazioni. Le mie foto sono storie.>>

Perché sono storie?

<<Per lo stesso motivo per cui non ci sono volti. Noi siamo abituati ad entrare in un luogo o aprire un giornale e soffermarci solo sulla bellezza di un viso senza più vedere altro. Nelle mie foto i volti non si vedono.>>

<<Qui, per esempio, il progetto nasce dalla sua scelta di tutti i miei libri d’arte. Guardandoli si è fatta prendere dai racconti dei libri e ha cominciato a farsi volere fotografare. A seconda dei libri che sceglieva ha iniziato a farsi fotografare in una certa maniera.

Un nudo di Modigliani ti darà sempre di più di un Jasper Johns o di un qualsiasi astrattismo. Quindi la morbidezza dei vestiti e dei nudi di Boldini ti mettono di più in confronto.

Questo è in realtà un progetto enorme. Lei ha selezionato oltre 30 libri e sono tutti dedicati ad artisti e per ogni artista lei ha fatto 10/15 foto e io ho seguito il suo percorso.>>

In questa foto è voluto il particolare confronto con il “Nudo Rosso” di Modigliani?

<<Questo è un confronto meraviglioso tra un nudo di Modigliani e un nudo di oggi. E’ anche un racconto, nota come sembra la stessa percentuale di distanza.>>

Anche l’incarnato della pelle e il colore sembra riprendere il dipinto.

<<Esattamente. Infatti io lavoro sui colori. Sono i colori che mi danno più o meno la sensazione se quello che sto facendo mi piace o non mi piace. Non lavoro su Photoshop per modificare quello che la persona realmente è.>>

Alla fine della nostra conversazione mi rendo conto di aver parlato con una persona che nell’arco di un’ora è stata in grado di comunicarmi sensazioni e pensieri più di quanto abbia mai fatto la lettura di un manuale fotografico. Alessandro è un fotografo che non si ferma alla superficie, seppur la prima impressione possa essere proprio quella di trovarsi davanti a delle semplici fotografie. Egli ci invita a seguire il suo percorso, la sua narrazione, con l’obiettivo di non guardare ma osservare, sfuggendo così, ad un mondo dove la fotografia è sempre più incline alla superficialità.

Alessandro mi ha inoltre svelato di tenere chiusi e nascosti diversi progetti artistici e fotografici semplicemente perché lui non crea per uscire allo scoperto, ma per necessità. Molte opere stanno ancora aspettando di venire fuori al momento più opportuno. Proprio per questo Alessandro Pizzo è ancora un artista ancora tutto da scoprire.

“Sono tutti capaci di fare le foto giuste, ma ci vogliono le foto che ti diano emozioni.”

Cit. Alessandro Pizzo

Articolo scritto da Alice Juverdeanu.

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